“I filosofi hanno finora solo interpretato il mondo; ora si tratta di cambiarlo.”
K.M.
Mi piacque, un giorno, sottolineare alla persona che mi ha istruito l’utilità del calendario; ovvero usare lo scorrere dei giorni per ricordare peculiarità della nostra storia, vero e unico patrimonio dell’umanità. Se ben cadenzato, un buon seguirsi di profili di eventi ed eroi può aiutare gli individui a comprendere, più approfonditamente, i propri costumi (che per loro natura assomigliano a una summa di tutte le abitudini accolte e praticate dalla società).
Ho pensato che per quest’Ottobre, visto che si parla tanto di Putin, mi sarebbe piaciuto spolverare il cameo di uno dei più sfortunati padri della Russia.
Avvertenze sul metodo: per ricostruire il pensiero di Léon ho utilizzato dei brani un po’ postumi ai fatti riportati; spinta dalla ipotesi che alcune idee e convinzioni siano esplicate da atti e pensieri in differenti spazi temporali, ovvero che queste si dilatino, come ombre, durante il corso dell’intera esistenza.
«Trotskij nacque il 26 ottobre 1879 nei pressi di Brobinez, nell’Ucraina del Sud. Era figlio di un ricco agricoltore ebreo di nome Bronstein. Venne chiamato Léon Davidovic. […] Alcuni dei primi ricordi concernono la situazione critica dei lavoratori della fattoria, i quali erano costretti a vivere nutrendosi esclusivamente di minestra e crema di cereali. […] Frequentò le scuole di Odessa. […] Cominciò a conoscere la letteratura russa ed europea; cominciò a comporre versi propri, e venne persuaso dagli adulti a leggerli a voce alta. […] A 16 anni si diplomò al collegio provinciale di Nicolajev. Là venne in contatto con gli studenti rivoluzionari. Si portava dentro un senso di protesta: ‘un sentimento di simpatia per gli oppressi e di indignazione per l’ingiustizia’; ma non si preoccupava ancora delle utopie socialiste. [… Coi compagni] Conducevano una vita comunitaria, indossando tutti i camiciotti blu e cappelli di paglia rotondi, portavano bastoni da passeggio neri. […] Nel 1896 vennero organizzati scioperi in numerose città russe. Trotskij ricorda: “iniziai la mia attività di rivoluzionario unendomi alla dimostrazione della Vetrova”. Trascorse in carcere gran parte dei primi anni di maturità; ma la cosa non sembrava preoccuparlo molto; addirittura, mentre scontava la seconda pena nel 1906 affermò che avrebbe lasciato la cella d’isolamento nel carcere di Pietroburgo con una sfumatura di rimpianto, tanto questa era tranquilla, intaccata dagli eventi, così perfetta per il lavoro intellettuale.» (Mosley, N., L’assassinio di Trotskij, 1975, pp. 10-13).
Un balzo in avanti. Il quadro storico entro cui ci muoviamo è la rivoluzione del 1917 che travolge l’egemonia zarista: il popolo, esasperato dalla carenza di pane, inizia alla fine di febbraio una protesta spontanea che presto viene “politicamente” incanalata e guidata dai leader socialisti. Vi è un passo in cui la forte opposizione borghese si unisce alla protesta sperando di ottenere un nuovo regime parlamentare. Anche la guardia di Pietroburgo solidarizza con gli insorti e Nicola II è costretto ad abdicare il 15 marzo. Si costituiscono due centri di potere nel paese: il governo provvisorio, gestito dalla borghesia e la rete dei Soviet, guidata dagli operai, dai cittadini, dai soldati che volevano una nuova gestione delle fabbriche, la distribuzione della terra e la pace (ricordiamo: la grande guerra si combatte da una manciata d’anni). «Trotskij trascorse le giornate organizzando una valanga di assemblee di massa. Se ne tenevano dunque, nelle scuole, nei teatri, nelle fabbriche e nelle strade» (Ivi, p. 63). Le sue idee dovevano suonare più o meno così: «Dobbiamo ingaggiare una lotta instancabile e inflessibile contro tali trascuratezze e contro questa mancanza di cultura, con le parole, con i fatti, con la propaganda e con standard più alti, con l’esortazione e chiamando gli individui a rispondere del proprio comportamento. Coloro che tacitamente tollerano cose come sputare sulle scale o lasciare un cortile o una casa come un porcile sono cattivi cittadini e indegni costruttori della nuova società. […] Davanti a noi sta una battaglia importante: la lotta contro tutte le forme di negligenza, trascuratezza, indifferenza, imprecisione, incuria, noncuranza di disciplina individuale, sperpero e spreco. Tutti questi sono solo gradi differenti e sfumature dello stesso male. Da una parte una mancanza di attenzione e dall’altra una sfrontatezza di bassa lega» (Trotskij, L.D., La rivoluzione dell’individuo, 1921, pp. 12-13).
Nel 1917 si sperò il ribaltamento di tutte le sovrastrutture gerarchiche e sociali, che, fino a quel momento, non avevano prodotto che sangue, diseguaglianza e sfruttamento. Le idee marxiste si muovevano rapide e ferree per le neofite metropoli, alcune delle quali; Parigi, per esempio, erano state scena delle nuove sovrastrutture, modello di emancipazione e autonomia.
Più o meno diffusamente si sogna un popolo omogeneamente istruito: « All’origine vi è la battaglia contro l’arretratezza della cultura, l’analfabetismo, la sporcizia, la povertà. Il miglioramento tecnico, la diminuzione del personale, l’introduzione di un maggior ordine, attenzione e precisione nel lavoro ed altre misure della stessa natura, non possono ovviamente esaudire il problema storico, ma aiutano a indebolire gli aspetti più negativi del burocratismo. Le difficoltà di educare migliaia di nuovi lavoratori nello spirito di servizio, della semplicità e dell’umanità, in condizioni di transizione e con istruttori ereditati dal passato, sono grandi. Grandi ma non insuperabili. Non possono essere superate in una sola volta, ma solo gradualmente» (Ivi, p. 17).
S’è intuito che la vera chiave per ribaltare l’oppressione della minorità era la diffusione dei valori appartenenti alla cultura. «Non dubito nemmeno per un istante del fatto che la coscienza del Mondo non può esser corrotta e che segnerà, anche in questo caso, una delle più splendide vittorie.» (Trotskij, L.D.) L’ottimismo è uno dei tratti fondamentali dell’esule rosso.
Se si pensa al secolo che, sommariamente divide la prima bozza del Manifesto dall’assassinio per mano di Mercader, si può vedere a chiare lettere un periodo di radicale transizione dei valori sociali, l’oligarchia aristocratica – il cui emblema era il capitolato con la bélle epocque – veniva spazzata via dalla pragmatica etica borghese; le biblioteche, lo studio introverso e metaforico viene abbandonato in favore della velocità di guadagno, della scoperta di nuove merci di scambio, di oggetti quantificabili. Non dovrebbe stupire se, nel bel mezzo della marcia industriale – quella che fece cambiare colore alle ali delle falene in Inghilterra (dando prova, in un trent’anni, della validità della teoria darwiniana) e del moltiplicarsi, esponenziale, delle politiche coloniali – qualche mente, più attenta di altre, si sia fermata a considerare i fatti, tentando di elaborare un valido antidoto. Ancora Léon, circa vent’anni dopo, si ferma nella contestualizzazione di quel che ha attorno (diretta conseguenza delle lotte iniziate sul vecchio continente) evidenzia le medesime falle del tessuto sociale: «Il progresso umano s’è cacciato in un vicolo cieco. Nonostante i trionfi recentissimi della tecnica, le forze materiali di produzione hanno cessato di accrescersi. Il più chiaro sintomo del declino è il ristagno mondiale dell’industria edile, dovuto alla cessazione di nuovi investimenti nelle branche fondamentali dell’economia. I capitalisti non sono semplicemente più in grado di credere nell’avvenire del loro sistema.» – «Oggi la vittoria del monopolio è apertamente riconosciuta dagli esponenti ufficiali della società borghese. Tuttavia, quando nel corso della sua prognosi Marx aveva concluso che il monopolio era implicito nelle tendenze del capitalismo, il mondo borghese considerava la concorrenza come una legge eterna della natura.» – «Il dominio del debole da parte del forte, dei molti da parte di pochi, dei lavoratori a opera degli sfruttatori è una legge fondamentale della democrazia borghese» (Trotskij, L.D., Che cos’è il marxismo?, 1940, p. 14). Una credenza morale che avrebbe consentito a molti individui di continuare, per il plusvalore, a gestire con brutalità la vita, le ore, la prole di molti altri individui, i proletari; per giustificare l’eterna corsa alla gloria della mondanità: la ricchezza, sorella dell’avidità.
Fu errato cercare di solvere questo meccanismo promuovendo un’altra, più giusta, ideologia?
Nel Manifesto (testo ispiratore di tutto il clima), prima delle scoperte tecnologiche che sfigurarono il volto del pianeta, Marx (assieme a Engels) aveva formulato un pensiero affine: «Si parla di idee che rivoluzionano un’intera società; con queste parole si esprime semplicemente il fatto che entro la vecchia società si sono formati gli elementi di una nuova, e che la dissoluzione delle vecchie idee procede di pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporti d’esistenza.» – « Il proletariato, lo strato più basso della società odierna, non può sollevarsi, non può drizzarsi, senza che vada in frantumi l’intera sovrastruttura degli strati che formano la società ufficiale. [… Che] non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l’esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretto a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può più vivere sotto la classe borghese, vale a dire l’esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società. La condizione più importante per l’esistenza e per il dominio della classe borghese è l’accumularsi delle ricchezze nelle mani di privati, la formazione e a moltiplicazione del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di loro. Il progresso dell’industria, del quale la borghesia è veicolo involontario e passivo, fa subentrare all’isolamento degli operai risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria, risultante dall’associazione» (Marx, K., Il manifesto del partito comunista, 1848, pp. 49-50).
Era appena l’aurora della mobilitazione per idee e valori autenticamente illuministi, ovvero razionali, universali, egualitari: «Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi di prodotti della società, toglie soltanto il potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione.» (Ivi, p. 56). Proprio i valori che le grandi guerre, scoppiate dopo la diffusione – virale –degli stessi, hanno trasfigurato: prima con i totalitarismi, poi con l’etica volta, solo, all’esteriore oggettità; andando a costituire quelle attitudini orientate al circolo vizioso di desiderio e accumulo.
Trotskij, testimone di questo processo, come Antidoto, con il solito ottimismo, appunta: «Nel nostro paese la classe operaia è arrivata al potere per la prima volta nella storia. La classe operaia possiede una ricca quantità di esperienza di lavoro e di vita e un linguaggio basato su questo. Ma il nostro proletariato non ha avuto un sufficiente insegnamento scolastico per quanto riguarda il leggere e scrivere elementari, per non parlare dell’educazione letteraria. Questa è la ragione per cui l’attuale classe operaia al potere nonostante tutto non si è ancora levata con l’energia necessaria contro l’intrusione di nuove parole ed espressioni inutili, corrotte e a volte orribili» (Trotskij, L.D., La rivoluzione dell’individuo, 1921, p. 25).
Marx, K., Engels, F., Il manifesto del partito comunista, 1872, Milano: A.C. editoriale coop, 2010.
Mosley, N., L’assassino di Trotskij, a cura di Oddera F., Milano: Longanesi, pocket rossa, 1975.
Trotskij, L.D., Che cos’è il marxismo? 1940.
Trotskij, L.D., La vita è bella, a cura di Bidussa, Milano: Chiarelettere, 2015.
– Giuditta L’Onesta